Operazione contro lo sfruttamento di cittadini extracomunitari condotta dai Carabinieri del ROS di Lecce
- Inserito 23 Maggio 2012
- da Redazione
L’organizzazione criminale, attiva in Nardò (LE), ma anche in Rosarno (RC) ed in altre parti del Sud Italia, era dedita al reclutamento di cittadini extracomunitari, per la maggior parte tunisini e ghanesi, introdotti clandestinamente in Italia e comunque presenti sul territorio irregolarmente, dovendosi ritenere i permessi di soggiorno, ove esistenti, falsi.
NARDO' (Lecce) - L’organizzazione criminale, attiva in Nardò (LE), ma anche in Rosarno (RC) ed in altre parti del Sud Italia, era dedita al reclutamento di cittadini extracomunitari, per la maggior parte tunisini e ghanesi, introdotti clandestinamente in Italia e comunque presenti sul territorio irregolarmente, dovendosi ritenere i permessi di soggiorno, ove esistenti, falsi, poiché rilasciati sulla base di false attestazioni di assunzioni al lavoro, da destinare allo sfruttamento lavorativo nella raccolta di angurie e di pomodori ed a tal fine mantenuti in condizione di soggezione continuativa e, pertanto, diretta alla commissione di più delitti, tra cui quelli di riduzione in condizione analoga alla schiavitù, di favoreggiamento alla permanenza illegale sul territorio italiano di cittadini extracomunitari, di intermediazione illecita e grave sfruttamento del lavoro, di estorsione e di violenza privata.
Gli arrestati
1) ABDELLAH Saed, inteso “Said”, nato in SUDAN il 13.06.1986, alias ABDULLAH Said, nato in SUDAN l’1.01.1979, residente in Palermo, domiciliato a Castelfranco di Sotto (PI), capo squadra (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
2) ADEM Meki, nato ad Alobaud (SUDAN) il 15.08.1960, residente in Racalmuto (AG), capo squadra (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
3) AIBECHE Abdelmalek, inteso “Alì”, nato a Ouled Yahia W Jijal (ALGERIA) il 13.02.1978, residente in Vittoria (RG), capo squadra (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
4) AIFA Belgacem Ben Bechir, nato a Chorbane (TUNISIA) il 14.03.1970, residente a Nardò (LE), capo squadra (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
5) AKREMI Bilel Ben Aiaya, nato il 28.07.1983 a Jendouba (TUNISIA), residente in Nardò (LE), capo cellula/caporale (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
6) BEN MOHAMED Hassen, nato in TUNISIA il 12.05.1977, residente in Pachino (SR), reclutatore (artt. 479 e 601 C.P.);
7) CAVARRA Giuseppe, nato a Noto (SR) il 01.10.1978, residente in Pachino (SR), datore di lavoro/reclutatore (479 C.P. e 12 Dlgs 286/98);
8) CORVO Marcello, nato a Nardò (LE) il 09.02.1960, ivi residente, datore di lavoro (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
9) FILIERI Bruno, nato a Nardò (LE) il 29.01.1963, ivi residente, datore di lavoro (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
10) GHACHIR Mohamed Yazid, inteso “Giuseppe l’algerino” o “Capo dei Neri”, nato a Guelma (ALGERIA) il 14.05.1968, residente in Taurianova (RC), capo cellula/caporale (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
11) JAOUALI SAHBI Ben Abderrahma, nato a Gabes (TUNISIA) il 13.09.1969, residente in Polignano a Mare (BA), capo squadra (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
12) JELASSI Saber Ben Mahmoud, inteso “Giuseppe il tunisino” o “Sabr” o “Capo dei capi”, nato a Tunisi (TUNISIA) il 15.10.1970, residente in Santa Maria a Vico (CE), capo cellula/caporale (artt. 416, 476, 482, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
13) LATINO Pantaleo, inteso “Pantaluccio”, nato a Nardò (LE) il 03.01.1954, datore di lavoro (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
14) MALLIA Rosaria, nata a Noto (SR) il 23.12.1977, residente in Pachino (SR), datore di lavoro/reclutatore (artt. 479 e 601 C.P.);
15) MANDOLFO Livio, nato a Nardò (LE) il 26.11.1966, ivi residente, datore di lavoro (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
16) MANFREDI Corrado, nato a Scorrano (LE) il 19.04.1953, ivi residente, datore di lavoro (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
17) MARIANO Giuseppe, intesto “Pippi”, nato a Scorrano (LE) il 28.02.1938, residente in Porto Cesareo (LE), datore di lavoro (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
18) MEHDAOUI Tahar Ben Rhouma, inteso “Mohamed” o “Gullit”, nato a Ouled Mehdi (Tunisia) il 10.03.1974, residente a Nardò (LE), capo squadra (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
19) PANO Salvatore, nato a Nardò (LE) il 22.03.1956, ivi residente, datore di lavoro (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
20) PETRELLI Giovanni, nato a Carmiano (LE) il 15.02.1962, ivi residente datore di lavoro (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
21) TANJAR Nizar, nato in SUDAN il 02.11.1977, residente in Siracusa, capo cellula/caporale (artt. 416, 600, 603 bis, 629 C.P., 12 Dlgs 286/98);
22) ZROUD Houcine, nato a Mahdia (Tunisia) il 24.10.1966, residente in S. Croce Camerina (RG), caporale/reclutatore (artt. 479, 600, 601, 629 C.P.).
Gli arrestati, al momento delle irruzioni dei Carabinieri del R.O.S. nelle abitazioni (sono stati sorpresi nel sonno alle ore 03:00), non hanno opposto la benché minima resistenza. Durante l’operazione, i Carabinieri del R.O.S., dei Comandi Provinciali interessati e del N.I.L. si sono avvalsi del supporto di elicotteri ed unità cinofile per la ricerca di droga, armi ed esplosivi.
I reati contestati.
“Associazione per delinquere” (art. 416 C.P.), “riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” (art. 600 C.P.), “tratta di persone” (art. 601 C.P.), “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” (art. 603 bis C.P.), “estorsione” (629 C.P.), “falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici” (art. 476 C.P.), “falsità materiale commessa dal privato” (art. 482 C.P.), “falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici” (art. 479 C.P.), “favoreggiamento dell’ingresso di stranieri nel territorio dello stato in condizioni di clandestinità” (art. 12 Dlgs. 286/98).
Le indagini.
La misura cautelare emessa dal G.I.P. di Lecce dr. Carlo CAZZELLA, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce (dr. Cataldo MOTTA e dr.ssa Elsa Valeria MIGNONE) scaturisce dall’attività investigativa convenzionalmente denominata “SABR”:
- condotta dal R.O.S. di Lecce, dal gennaio 2009 al marzo 2010, con ulteriori specifiche attività condotte ad integrazione nei mesi estivi del 2010 e del 2011, nonché fino al mese di ottobre 2011, a carico di un sodalizio criminale transnazionale, costituito da Italiani, Algerini, Tunisi e Sudanesi, operante in Puglia, Sicilia, Calabria e Tunisia, dedito alla tratta di esseri umani provenienti da vari Paesi Africani, al favoreggiamento dell’ingresso di clandestini nel territorio nazionale, al grave sfruttamento lavorativo dei medesimi ed all’illecita intermediazione lavorativa, mantenendo i lavoratori extraUE in stato di soggezione continuativa, condizione analoga alla schiavitù, nonché alla commissione di più c.d. “reati collegati” (“falsità materiale ed ideologica”, “estorsione”);
- cui hanno collaborato, per specifiche e contingenti esigenze operative e/o legate ad acquisizioni documentali, il Comando Provinciale CC di Lecce, il Comando CC Tutela del Lavoro ed il Comando CC Politiche Agricole e Alimentari, soprattutto in ordine ai contributi pubblici AGEA – Ministero Politiche Agricole, di cui hanno beneficiato alcuni degli odierni indagati;
che ha consentito, in via prioritaria, di documentare come l’organizzazione criminale, attiva in Nardò (LE), ma anche in Rosarno (RC) ed in altre parti del Sud Italia, fosse dedita al reclutamento di cittadini extracomunitari, per la maggior parte tunisini e ghanesi, introdotti clandestinamente in Italia e comunque presenti sul territorio irregolarmente, dovendosi ritenere i permessi di soggiorno, ove esistenti, falsi, poiché rilasciati sulla base di false attestazioni di assunzioni al lavoro, da destinare allo sfruttamento lavorativo nella raccolta di angurie e di pomodori ed a tal fine mantenuti in condizione di soggezione continuativa e, pertanto, diretta alla commissione di più delitti, tra cui quelli di riduzione in condizione analoga alla schiavitù, di favoreggiamento alla permanenza illegale sul territorio italiano di cittadini extracomunitari, di intermediazione illecita e grave sfruttamento del lavoro, di estorsione e di violenza privata.
L’attività d’indagine “SABR”, condotta dal R.O.S. di Lecce e compendiata in più informative di reato, ha di fatto consentito, fra altri aspetti, di far emergere la sussistenza delle fenomenologie criminose di “riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” e “tratta di persone”, poste in essere in un contesto criminale transnazionale, che unisce con un unico filo conduttore tutti i compartecipi nelle attività delittuose, con compiti e ruoli ben delineati in capo ad ognuno. Un vero e proprio “sistema” criminale, efficientemente organizzato, che nasce e prolifera anche grazie alla “disperata ed obbligata” partecipazione delle stesse vittime.
Nel dettaglio, la complessa indagine ha consentito l’accertamento di più elementi costitutivi delle fenomenologie delittuose per cui si procede, che, in estrema sintesi e nelle fattispecie in esame, vanno individuati ne:
- il reclutamento, perlopiù all’estero (in molti dei casi in esame in TUNISIA), di una pluralità indistinta di persone – disperate e bisognose e per ciò stesso psicologicamente vulnerabili – allettate da false ed ingannevoli prospettive di svolgere una regolare attività lavorativa in agricoltura, con paghe dignitose e buone condizioni di vita, adescate con il semplice ma efficace metodo del “passa parola” dai c.d. “reclutatori”, che avrebbero poi provveduto ad organizzare veri e propri “viaggi della speranza” verso la Sicilia e successivamente, attraverso i complici in ITALIA, gli “spostamenti” massivi degli operai dapprima nell’agro pachinese (SR) e, in un secondo momento, in quello neretino (LE);
- l’esistenza, nell’ambito di un “sistema” criminale ben organizzato, di rapporti di cooperazione tra “datori di lavoro” (in particolare a Nardò associatisi in una sorta di “cartello”) e “caporali o capi cellula”, in grado di dare vita a massicci fenomeni di tratta di persone all’interno dei confini dello Stato italiano, al fine di procurare manodopera in grado di soddisfare le esigenze di lavoro stagionale agricolo in più Regioni d’Italia;
- il collegamento tra i “reclutatori” che operano all’estero, rendendo informazioni sul successivo trasporto oneroso, e quelli che ricevono gli operai per destinarli al lavoro in fondi di proprietà di soggetti di nazionalità italiana;
- l’immediata privazione di ogni possibilità di autodeterminazione da parte degli stessi operai, una volta raggiunti i territori di destinazione, attraverso il collocamento in campi lontani chilometri dai centri abitati;
- l’immediato pagamento di oneri (spese di intermediazione, di alloggio e di vitto) tali da privare gli stessi lavoratori del residuo denaro posseduto;
- il mancato o ritardato pagamento della retribuzione, corrisposta, quando ciò avveniva, in misura decisamente inferiore a quella promessa, circostanza che, unitamente alle altre, rendeva di fatto impossibile il ritorno in Patria;
- lo stato di soggezione ed alienazione dei lavoratori imposto da:
- .la disperazione ed il bisogno,
- .la permanenza in alloggi fatiscenti (senza acqua corrente, servizi igienici, e corrente elettrica), non affatto “casuale” ed apparentemente “improvvisata” dagli stessi lavoratori, ma in realtà gestita direttamente da “datori di lavoro” e “caporali”,
- .lo sfruttamento per prestazioni lavorative che si estendevano fino a non meno di 10-12 ore al giorno, prestazioni dalle quali i “caporali o capi cellula” ed i “capi squadra – autisti” loro sottoposti ricevevano sempre e comunque utilità, rappresentate dalla differenza sulla retribuzione oraria, versata dal “datore di lavoro” italiano complice dei primi e corrisposta in misura inferiore,
- .il pagamento di spese per il trasporto dai campi ai fondi e viceversa, per l’alloggio, l’intermediazione ed il vitto;
.le prospettate ed eventuali, per alcuni, migliori condizioni di vita, garantite dalla perdita della qualità di operaio e dall’acquisto di quella di “trasportatore o sorvegliante nei campi”;
- .l’indebito arricchimento da parte dei “datori di lavoro”, i quali, complici dei “caporali” e spesso promotori dell’illecito “sistema”, pongono in essere pratiche scorrette di pagamento del salario, riduzioni ingiustificate, falsi contratti, assunzioni irregolari e simili, che garantiscono profitti rilevanti, parallelamente ad evasione fiscale e mancati pagamenti di contributi.
L’attività investigativa “SABR” ha pertanto fatto emergere i caratteri costitutivi di un articolato e complesso “sistema” criminale che si estende da più stati extraUE alla Sicilia e, da questa, alla Puglia ed alla Calabria.
Si è dimostrato, in sostanza, come significative componenti di lavoratori stranieri siano stati impiegati nei campi di raccolta a condizioni pesanti, tali da rasentare i limiti della sopportazione psico-fisica, nonché remunerati con paghe al di sotto della soglia di povertà. Un fenomeno che rappresenta l’estremità finale di un asse che descrive le diverse macro-configurazioni del lavoro dipendente (lavoro formalizzato, lavoro irregolare e lavoro forzato), quello che coinvolge appunto gli immigrati.
Parallelamente, le investigazioni hanno messo in evidenza come gli “spostamenti” massivi (dall’estero ed all’interno dei confini dello Stato) dei lavoratori migranti fossero inevitabilmente connesse alle condizioni di lavoro irregolare che, nelle sue forme più penalizzanti, si è espressa nel lavoro para-schiavistico. Le fasi iniziali di insediamento degli immigrati, infatti, erano generalmente caratterizzate dalla condizione di irregolarità – che non si produce soltanto con gli ingressi irregolari nello Stato, ma anche quando scadono i permessi di soggiorno e non si possono, per i più disparati motivi, rinnovare – tale da “costringere” i lavoratori stranieri ad accettare qualsiasi tipo di impiego pur di acquisire un minimo reddito per la sopravvivenza.
La presente inchiesta ha anche dimostrato come alcuni “datori di lavoro”, conoscendo la tipologia di offerta lavorativa sopra descritta, l’avessero stimolata, promossa ed adattata alle proprie necessità produttive. I “datori di lavoro” italiani, infatti, così come i “caporali” stranieri, hanno spesso approfittato delle condizioni in cui versavano gli stranieri, magari privi di documenti di soggiorno o in cerca di qualsiasi occupazione pur di sopravvivere e pertanto limitati considerevolmente nella loro libertà di movimento e di negoziazione sociale.
È inoltre emerso come in agricoltura le forme di sfruttamento siano diverse e riguardino perlopiù il salario e gli orari di lavoro, che non sono per nulla proporzionati e comparabili con i contratti nazionali di categoria. La paga oscilla tra i 22 ed i 25 euro al giorno e l’orario di lavoro è mediamente di 10-12 ore al giorno, senza soluzione di continuità per l’intero ciclo di raccolta. Una parte consistente del salario, inoltre, va al caporale e/o all’intermediatore ed il resto è destinato alle spese per la sopravvivenza, che in realtà dovrebbero essere soddisfatte dagli stessi datori di lavoro.
In tale quadro di riferimento, le dichiarazioni accusatorie di alcune vittime sono state determinanti per la costruzione dell’imponente quadro indiziario a carico degli odierni indagati, ovviamente in parallelo con le plurime ed indipendenti acquisizioni investigative.
Le dettagliate, coerenti e convergenti dichiarazioni dei denuncianti, già di per se stesse oggettivamente attendibili, in quanto caratterizzate sempre da minuziosità, precisione e soprattutto assenza di contraddizioni, hanno infatti trovato plurimi e concreti riscontri nelle risultanze investigative (riscontri e attività tecnica e dinamica), peraltro prodotte anche autonomamente, da parte dei militari del R.O.S. di Lecce.
Disumane le condizioni di vita cui erano sottoposti i lavoratori. Emblematica un’affermazione di una delle poche vittime che a fatica hanno trovato il coraggio di rispondere alle domande dei Carabinieri (le assunzioni di informazioni sono state eseguite da militari specializzati nell’ascolto di c.d. “soggetti deboli”): “Ci diedero un panino che non mangiai nemmeno per quanto ero disperato”.
Le intercettazioni telefoniche (eseguite parallelamente a numerosissimi servizi di osservazione e pedinamento) hanno peraltro fatto emergere chiaramente come fossero proprio i datori di lavoro italiani che, a monte, pretendevano ed imponevano le condizioni lavorative disumane: “…Ora quelli te li sfianco fino a questa sera…” avvalendosi, poi, per l’attuazione dei fini criminosi, dei “caporali” o “capi cellula”, i quali, a loro volta, dettavano gli ordini ai “capi squadra” loro subordinati, che poi commentavano: “...soli sono stati! Morti di sonno, di fame e de... de sete….” ; “… e quelli volevano pure bere e non c'era nessuno che gli dava l'acqua. …”.
Gli stessi datori di lavoro temevano i controlli delle Forze di Polizia e degli Ispettori del Lavoro, proprio perché consapevoli, non solo della posizione irregolare di molti lavoratori, ma anche e soprattutto delle condizioni disumane cui erano assoggettati gli operai, condizioni di cui non solo erano consapevoli, ma di fatto erano direttamente responsabili.
Significative altre frasi intercettate, pronunciate da un datore di lavoro ad un caporale, riferendosi ai lavoratori che avevano “osato” lamentarsi per vari motivi:
“… Di alla squadra che ha rotto i coglioni domani la lascio a casa …”
“Non mettere roba brutta nei cassoni....se no se non carico io ti devo mandare a casa pure a te, capito?”
“… e mò... e mò... e mò rovino loro! Mò rovino loro che lascio tutti a casa . Mò... Mò li lascio a casa e li rovino veramente io ..”
“... e ma come voglio fare io... io... uno deve comandare, o devo comandare io perché io devo sapere come fare la roba là in mezzo, loro soltanto raccogliere come dico io devono fare…”.
Non vi era rispetto nemmeno per il credo religioso dei lavoratori. Nel periodo compreso fra venerdì 21 agosto e sabato 19 settembre 2009, infatti, si è svolto il tradizionale “Ramadan”, mese sacro di digiuno per i mussulmani. Durante il giorno era proibito fumare, mangiare e bere in pubblico. Orbene, durante la raccolta dei prodotti agricoli, sarebbe stato invece opportuno e salutare, per garantire una minima condizione di vita, assumere molta acqua, perché lavorare nei campi, sotto il sole, rinunciando ai liquidi, avrebbe potuto provocare malori e insolazioni (come effettivamente si sono verificati). Nonostante tutto, la disperazione e la necessità di lavorare (alcune volte senza essere nemmeno pagati) hanno costretto molti extracomunitari a lavorare per intere giornate nei campi, senza mangiare e senza bere volontariamente per osservare il loro precetto religioso.
L’INDAGINE “SABR”
Per un quadro di sintesi dell’intera attività investigativa “SABR”, si ritiene opportuno riportare le argomentazioni che corredano i capi di imputazione formulati dal P.M. D.D.A. inquirente (dr.ssa Elsa Valeria MIGNONE) a carico degli odierni indagati, esaustive per la completa cognizione delle dinamiche criminali poste in essere da questi ultimi:
“… ABDELLAH Saed, inteso “Said”, alias ABDULLAH Said; ABDELMALEK Aibeche, inteso “Alì; AIFA Belgacem Ben Bechir; AKREMI Bilel Ben Aiaya; CORVO Marcello; FILIERI Bruno; GHACHIR Mohamed Yazid, inteso “Giuseppe l’algerino” o “Capo dei Neri”; JELASSI Saber Ben Mahmoud, inteso “Giuseppe il tunisino” o “Sabr”; JAOUALI SAHBI Ben Abderrahma; LATINO Pantaleo, inteso “Pantaluccio”; MANDOLFO Livio; MANFREDI Corrado; MARIANO Giuseppe, intesto “Pippi”; MEHDAOUI Tahar Ben Rhouma, inteso “Mohamed o Gullit”; MEKI Adem; PANO Salvatore; PETRELLI Giovanni e TANJAR Nizar:
A)del reato di cui agli artt. 110, 81, 416 e 416/6° comma c.p.: per essersi associati tra loro, dando vita ad una organizzazione criminale attiva in Nardò (LE) e, per taluni di essi, tra cui JELASSI e MEKI, anche in Rosarno (RC) ed in altre parti del Sud Italia, finalizzata al reclutamento di cittadini extracomunitari, per la maggior parte tunisini e ghanesi – introdotti clandestinamente in Italia e comunque presenti sul territorio “irregolarmente”, dovendosi ritenere i permessi di soggiorno, ove esistenti, “falsi”, poiché rilasciati sulla base di false attestazioni di assunzioni al lavoro (così ad esempio nel caso del “contratto di soggiorno instauratosi tra MALLIA Rosaria ed un lavoratore, tra CAPPELLO Maria Teresa ed un lavoratore e tra CAVARRA Giuseppe ed un altro lavoratore ancora”) – da destinare allo sfruttamento lavorativo nella raccolta di angurie e di pomodori ed a tal fine mantenuti in condizione di soggezione continuativa e, pertanto, diretta alla commissione di più delitti, tra cui quelli di riduzione in condizione analoga alla schiavitù, di favoreggiamento alla permanenza illegale sul territorio italiano di cittadini extracomunitari, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, di estorsione e di violenza privata; rivestendo JELASSI Saber Ben Mahmoud, GHACHIR Mohamed Yazid e LATINO Pantaleo il ruolo di “organizzatori”, poiché il primo, costantemente presente sul territorio neretino, era il punto di riferimento di tutti i “caporali” e dei “capo squadra”, preposti al controllo ed alla “gestione” della manodopera extracomunitaria, in diretto contatto in particolare con LATINO Pantaleo e MANFREDI Corrado, ma anche con altri “datori di lavoro”; il secondo era il “capo dei neri”, vale a dire il punto di riferimento nell’intermediazione della manodopera extracomunitaria prevalentemente ghanese e sudanese, che provvedeva a “reclutare” personalmente e ad adibire al lavoro sui campi, su richiesta dei titolari delle aziende agricole locali, che a loro volta avevano in LATINO Pantaleo – promotore ed organizzatore – il referente per il reperimento della suddetta manodopera; essendo il LATINO Pantaleo, altresì, costantemente e strettamente in contatto sia telefonico che fisico con JELASSI Saber Ben Mahmoud, cui forniva, nell’anno 2008 i locali fatiscenti e privi di qualsivoglia servizio igienico in cui venivano “alloggiati” gli extracomunitari utilizzati sui campi nella stagione estiva e, nell’anno 2009, forniva il legname per la realizzazione del “campo improvvisato”, anch’esso senza servizi igienici, adibito dallo stesso JELASSI per la sistemazione degli extracomunitari reclutati; essendo lo stesso LATINO Pantaleo in contatto diretto anche con i “capo – squadra” sottoposti allo JELASSI cui impartiva ordini e che inviava sui campi a controllare i lavoratori; essendosi, infine, egli stesso recato a Pachino (SR), immediatamente prima dell’inizio della stagione 2009, al fine di assicurarsi l’invio di manodopera da Pachino – ove gli extracomunitari si recavano subito dopo essere sbarcati sulle coste italiane e da cui venivano poi “smistati” in altre parte d’Italia, tra cui Nardò (LE);
rivestendo CORVO Marcello, MANDOLFO Livio, MANFREDI Corrado, MARIANO Giuseppe, FILIERI Bruno, PANO Salvatore e PETRELLI Giovanni, il ruolo di partecipi in quanto “collaboratori” di LATINO Pantaleo, nonché titolari essi stessi di aziende presso cui veniva impiegata la manodopera extracomunitaria;
rivestendo tutti gli altri il ruolo di partecipi in qualità di “caporali” o “capo - squadra” alle dipendenze di JELASSI con compiti di “accompagnamento” dei lavoratori sui campi di lavoro, di “organizzazione” del lavoro stesso al fine di trarne il massimo sfruttamento, di stretto controllo dell’attività lavorativa anche al fine di far fronte ad eventuali “ispezioni” da parte del personale dell’Ispettorato del lavoro o a controlli delle Forze dell’Ordine.
in Nardò, dall’estate 2008 con permanenza;
- B)del reato di cui agli artt. 110, 81, 600 1° e 2° comma c.p., 603 bis e 629 c.p., 12 comma 5 del D.L.vo 286/98: perché, in concorso tra loro, con la consapevolezza di agevolare con la propria l’altrui condotta, rafforzando ciascuno il proposito criminoso dell’altro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, riducevano e mantenevano numerosi cittadini extracomunitari, di nazionalità prevalentemente tunisina, ghanese e sudanese, in stato di soggezione continuativa, condizione analoga alla schiavitù, costringendoli a prestazioni lavorative nei campi in condizioni di assoluto sfruttamento, poiché, una volta reclutati dai “caporali” in diretto contatto con le aziende richiedenti manodopera in agricoltura, suddivisi in squadre, li sottoponevano a ritmi “sfiancanti” facendoli lavorare per 10/12 ore al giorno, senza riposo settimanale, nella maggior parte dei casi in nero, versando compensi di gran lunga inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali e comunque, sproporzionati rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; ospitandoli, stipati e ammassati, in casolari abbandonati e fatiscenti, privi di servizi igienici ed arredi, facendosi corrispondere prezzi eccessivi e spropositati per la fornitura di alimenti e bevande e per il trasporto sui campi, che trattenevano sulla “paga finale”; sfruttamento attuato:
- mediante approfittamento della stato di necessità e di inferiorità fisica e psicologica in cui gli extracomunitari versavano, assolutamente “vulnerabili” perché immigrati clandestinamente sul territorio italiano, spinti dall’assoluta indigenza in cui versavano nel Paese di origine, ingannati dalla promessa di un lavoro, sicuro, regolare e dignitoso sul territorio italiano, oberati dai debiti contratti con l’organizzazione che ne aveva favorito l’ingresso, impossibilitati poi, una volta presa coscienza del loro stato di illegalità, a fare rientro in Patria per mancanza di mezzi finanziari, ancor più soggiogabili per la mancata conoscenza della lingua italiana e dei luoghi in cui si trovavano;
- mediante minaccia di perdere il posto di lavoro in caso di “ribellione”, privandoli, al fine di limitarne i movimenti e la possibilità di sottrarsi al giogo, dei documenti identificativi e del permesso di soggiorno, ove esistenti; al fine altresì di poter facilmente “scambiare” tali documenti a seconda della convenienza in caso di controllo dell’Ispettorato e delle altre Forze dell’Ordine, riuscendo in tal modo a lucrare ingiustificatamente e spropositatamente sull’intensa e gravosa attività lavorativa così gestita, percependo i “capo – squadra” elevate percentuali sulle esigue retribuzioni corrisposte, assicurandosi i datori di lavoro e/o titolari delle aziende, il massimo rendimento e la massima produttività delle coltivazioni con spese ridotte al minimo, ben consapevoli questi ultimi delle inumane condizioni in cui i lavoratori operavano;
in Nardò dal 2008 fino alla fine di agosto 2011;
JELASSI Saber Ben Mahmoud, inoltre:
- C)del reato di cui agli artt. 81 e 629 c.p.: perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minaccia – consistita nel riferire ai lavoratori Nordafricani che qualora non avessero accettato le sue “condizioni” particolarmente gravose, per come innanzi descritte, avrebbero dovuto cercare un altro lavoro, aggiungendo però che “nessun altro avrebbe dato lavoro senza il suo tramite” – costretto numerosi cittadini stranieri ad accettare la corresponsione di trattamento contributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi, così procurandosi un ingiusto profitto con relativo danno per gli stessi;
in Nardò dall’estate 2008 all’agosto 2011;
D)del reato di cui agli artt. 110, 81, 476 e 482 c.p.: per avere, in concorso con ignoti, formato falsamente un numero indeterminato di “permessi di soggiorno”, certamente superiori a due, su richiesta di cittadini extracomunitari tunisini presenti illegalmente sul territorio Italiano;
in Nardò e Napoli nel agosto e nel settembre 2009;
GHACHIR Mohamed Yazid, inoltre:
- E)del reato di cui agli artt. 81 e 629 c.p.: perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minaccia – consistita nel riferire ai lavoratori che non avrebbero potuto “ribellarsi” alle gravose “condizioni” lavorative e di vita, da lui stesso imposte, poiché non solo non avrebbe corrisposto loro la paga giornaliera (concordata con i datori di lavoro italiani) ma non li avrebbe più fatti lavorare in zona – costretto numerosi cittadini stranieri, prevalentemente clandestini, ad accettare la corresponsione di trattamenti contributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi, così procurandosi un ingiusto profitto con relativo danno per gli stessi, cui alla fine del periodo lavorativo, proprio ed in considerazione della loro impossibilità, in quanto clandestini, di denunciare i soprusi, non corrispondeva neppure la paga maturata nel periodo di lavoro prestato;
in Nardò nell’estate 2009;
AKREMI Bilel Ben Aiaya, inoltre:
- F)del reato di cui agli artt. 81 e 629 c.p.: perché costringeva con violenza – consistita nel colpire con calci e pugni un lavoratore, cittadino tunisino, che si era lamentato della esigua retribuzione (pari a 10 euro giornaliere corrisposte per 12 ore di lavoro svolto per la ripulitura dei terreni dalle plastiche), dicendogli che se non gli stavano bene le condizioni lavorative “poteva anche denunciarlo” – costretto il medesimo lavoratore ad accettare la corresponsione di trattamenti contributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi, così procurandosi un ingiusto profitto con relativo danno dello stesso, agendo con la certezza che non avrebbe denunciato i soprusi, in considerazione della sua posizione di “vulnerabilità”;
in Nardò nel luglio 2009;
G)del reato di cui all’art. 81 e 629 c.p.: perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minaccia di distruggere i “permessi di soggiorno per motivi umanitari” che si era fatto consegnare il primo giorno di lavoro da cittadini extracomunitari tunisini, costringeva i suddetti a lavorare alle sue dipendenze nella raccolta delle angurie e ad accettare la corresponsione di trattamenti contributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi, così procurandosi un ingiusto profitto con relativo danno per gli stessi, cui alla fine del periodo lavorativo, nella certezza che non avrebbero denunciato i soprusi, in considerazione della loro “vulnerabilità”, non corrispondeva neppure la paga maturata nel periodo di lavoro prestato;
in Nardò nel luglio 2011;
BEN MOHAMED Hassen e MALLIA Rosaria, inoltre:
H)del reato di cui agli artt. 110, 81, 48, 479 e 601 c.p.: perché, in concorso tra loro e con persone allo stato ignote, tra cui tal “BACHIR”, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, mediante inganno, consistito nella falsa promessa di un “regolare” contratto di lavoro in Italia, e mediante approfittamento dello stato di necessità in cui versavano coloro che li contattavano, procuravano l’ingresso illegale sul territorio dello Stato italiano – utilizzando mezzi di trasporto internazionali ed avvalendosi di documentazione illegalmente ottenuta – di un numero indeterminato di tunisini, da destinare allo sfruttamento lavorativo in agricoltura, in condizioni analoghe alla schiavitù, poiché:
– avendo “BACHIR” in Tunisia fama di organizzatore di viaggi per l’Italia, a tal fine contattato da coloro che avevano necessità di trovare un lavoro, si faceva dare da costoro, che la racimolavano con enorme difficoltà e a più riprese, la somma complessiva di 9.000.000 di dinari tunisini ciascuno (pari a circa 5.200,00 euro), comprensiva anche di tre mesi di fitto per l’alloggio che avrebbero dovuto occupare durante l’espletamento del lavoro loro promesso, tramite Bachir, da BEN MOHAMED Hassen e da MALLIA Rosaria (cui era destinata parte della somma);
– facendoli imbarcare da Halk el Wed (città tunisina) in data 4 maggio 2008 su una nave diretta a Palermo, con successiva destinazione Pachino, ove avrebbero dovuto incontrare BEN MOHAMED Hassen, di cui BACHIR aveva loro fornito il numero di cellulare;
– dotandoli di nulla osta al lavoro subordinato stagionale, rilasciato dallo “Sportello Unico per l’Immigrazione” di Siracusa (SR), sulla base della falsa attestazione di MALLIA Rosaria, fidanzata di BEN MOHAMED Hassen e titolare dell’omonima ditta individuale, che, in data 19.09.2007 aveva sottoscritto impegno di assunzione al lavoro per la durata di mesi nove;
– comunicando poi BEN MOHAMED Hassen ai medesimi, una volta giunti a Pachino, che non sarebbero stati assunti dalla ditta di MALLIA Rosaria e che avrebbero dovuto comunque pagare l’alloggio, ove avessero inteso rimanere in Italia, venendo in tal modo meno alle promesse fatte;
talché, abbandonati su quel territorio senza lavoro, senza punti di riferimento, privi di qualsivoglia mezzo di sostentamento, di qualsivoglia conoscenza della lingua italiana e dei luoghi in cui si trovavano, in assoluto stato di bisogno e di disperazione, li costringevano di fatto ad assoggettarsi a “reclutatori” senza scrupoli di manodopera, operanti in Sicilia, Calabria (per la raccolta di arance) o in Puglia (per la raccolta di angurie e pomodori), ed in particolare in Nardò, ove BEN MOHAMED Hassen aveva contatti con i “reclutatori” che ivi operavano, a loro volta in stretto contatto con i titolari delle aziende agricole presso cui venivano adibiti al lavoro, in condizioni analoghe alla schiavitù, i tunisini provenienti da Pachino (SR) ed ove giungevano difatti anche i lavoratori per essere adibiti alla raccolta di meloni e pomodori;
acc. in Nardò, nell’estate del 2008;
CAVARRA Giuseppe, inoltre:
- I)del reato di cui agli artt. 110, 48 e 479 c.p. e 12 comma 1, 3 lett. d) e 3 bis lett. a) del D.L.vo 286/1998: perché, in concorso con tal “MOHAMED”, allo stato rimasto ignoto, mediante inganno, consistito nella falsa promessa di un “regolare” contratto di lavoro in Italia, al fine di trarne profitto, procurava l’ingresso illegale sul territorio dello Stato Italiano di BEN AMMAR Temim, utilizzando mezzi di trasporto internazionali, poiché:
- avendo “MOHAMED” in Tunisia fama di organizzatore di viaggi per l’Italia, a tal fine contattato da un lavoratore, si faceva dare da costui, che la racimolava con enorme difficoltà e a più riprese, la somma complessiva di 7.000.000 di dinari tunisini (pari a circa 3000,00 euro), comprensiva anche di fitto per l’alloggio che avrebbe dovuto occupare durante l’espletamento del lavoro promesso da CAVARRA Giuseppe; imbarcandosi poi, unitamente ad un altro lavoratore, in data 23 marzo 2008 su una nave diretta a Palermo, con successiva destinazione Pachino, ove, incontravano CAVARRA Giuseppe, che consegnava loro il nulla osta al lavoro subordinato stagionale, rilasciato dallo “Sportello Unico per l’Immigrazione” di Siracusa, sulla base di una falsa attestazione della ditta individuale dello stesso CAVARRA, che, in data 10.10.2007 aveva sottoscritto impegno di assunzione al lavoro per la durata di mesi nove, al solo fine di consentire l’ingresso sul territorio Italiano del lavoratore cui il MOHAMED, una volta giunti a Pachino comunicava che non sarebbe stato mai assunto dalla ditta CAVARRA;
acc. in Bari nel gennaio 2009;
ZROUD Houcine, inoltre:
- J)del reato di cui agli artt. 110, 81, 48, 479, 600 e 601 c.p.: perché in concorso con NZAIME Razke, non meglio identificato, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, mediante inganno, consistito nella falsa promessa di un “regolare” contratto di lavoro in Italia, e mediante approfittamento dello stato di necessità in cui versavano coloro che lo contattavano, procurava l’ingresso sul territorio dello Stato Italiano – utilizzando mezzi di trasporto internazionali – di un numero indeterminato di tunisini, da destinare allo sfruttamento lavorativo in agricoltura, in condizioni analoghe alla schiavitù, poiché:
- avendo “NZAIME Razke” in Tunisia fama di organizzatore di viaggi per l’Italia, a tal fine contattato da coloro che avevano necessità di trovare un lavoro, si faceva dare da costui, che la racimolava con enorme difficoltà e a più riprese, ricorrendo a contrarre anche un debito con lo stesso NZAIME, firmando un titolo cambiario, la somma complessiva di 6.000.000 di dinari tunisini (circa 3000 euro), comprensiva anche di fitto per l’alloggio che avrebbe dovuto occupare durante l’espletamento del lavoro promesso, tramite NZAIME Razke e ZROUD Houcine, presente a Santa Croce Camerina (RG), da CAPPELLO Maria Teresa, titolare dell’azienda agraria “Senzio Ragusa”;
- facendolo imbarcare da Halk el Wed (città tunisina) in data 29 maggio 2009 su una nave diretta a Palermo, con successiva destinazione Santa Croce Camerina (RG), ove giungeva accompagnato in auto da ZROUD Houcine che lo prelevava a Ragusa, di cui NZAIME Razke aveva fornito il numero di cellulare;
- dotandolo di nulla osta al lavoro subordinato stagionale, rilasciato dallo “Sportello Unico per l’Immigrazione” di Ragusa, sulla base della attestazione di CAPPELLO Maria Teresa, datore di lavoro di ZROUD Houcine che, in data 03.12.2008 aveva sottoscritto impegno di assunzione al lavoro per la durata di mesi nove e attestando il successivo 5 giugno 2009 con atto privato ma di pubblico uso che lo stesso Imed sarebbe andato ad abitare in Santa Croce Camerina Via R. Guttuso n. 12 (residenza e dimora di ZROUD Houcine e della sua famiglia);
- fornendo poi ZROUD Houcine allo stesso lavoratore un alloggio fatiscente, privo di infissi, di arredi e di servizi igienici, di corrente elettrica e con il soffitto coperto da eternit, posto nella periferia di Santa Croce Camerina, all’interno del quale, il medesimo ZROUD, aveva “sistemato” altri tunisini giunti in Italia prima di Imed, ricevendosi somme di denaro per l’affitto che “decurtava” dal salario, che in realtà non corrispondeva;
- impossessandosi ZROUD Houcine al fine di limitarne i movimenti e la possibilità di sottrarsi al giogo, dei documenti identificativi e del permesso di soggiorno di ABDELOAUHED Imed, costringendolo poi a turni di lavoro di 12/14 ore presso l’azienda agraria che lo aveva assunto, controllandolo o facendolo controllare costantemente da altri, senza corrispondergli alcun compenso per il lavoro svolto e “giustificando” la mancata retribuzione asserendo che i soldi servivano per il disbrigo di molte pratiche che lo riguardavano, per il vitto e l’alloggio forniti, per i contributi per l’ingaggio e perchè ancora suo debitore e del cognato (NZAIME Razke) di mille Euro per via del titolo cambiario che Imed aveva firmato in Tunisia;
talché, abbandonato completamente in balìa di ZROUD Houcine e senza punti di riferimento, privo di qualsivoglia mezzo di sostentamento, di qualsivoglia conoscenza della lingua italiana e dei luoghi in cui si trovava, in assoluto stato di bisogno e di disperazione, da questi “trafficato”, “soggiogato” e “schiavizzato”, lo costringeva, privandolo dei documenti, a prestazioni lavorative forzate e di fatto poi a fuggire da Santa Croce Camerina, ed a raggiungere, consigliato da altri connazionali, Nardò, ove altri “reclutatori” senza scrupoli che ivi operavano, approfittando della condizione di “vulnerabilità” cui ZROUD Houcine lo aveva indotto, lo destinavano alle stesse prestazioni lavorative forzate, in condizioni analoghe alla schiavitù, adibendolo a lavoro in agricoltura;
acc. in Nardò nel 2009;
K)del reato di cui all’art. 81 e 629 c.p.: perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, privando il lavoratore dei documenti di identificazione (passaporto) e il permesso di soggiorno trattenendoseli e minacciandolo di non restituirglieli se Imed non avesse prima saldato un “debito di mille euro contratto” in Tunisia con NZAIME Razke, lo costringeva a lavorare alle “sue” dipendenze nella raccolta di prodotti ortofrutticoli e ad accettare la corresponsione di trattamenti contributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi, così procurandosi un ingiusto profitto con relativo danno per lo stesso, cui non corrispondeva alcun salario maturato nel periodo di lavoro prestato, nella certezza che non avrebbe denunciato i soprusi, in considerazione dello stato di “vulnerabilità” in cui lo aveva indotto; facendosi altresì consegnare a più riprese varie somme di denaro asseritamente occorrenti per costi di carburante, bolli, pratiche burocratiche e corrispondenza;
acc. in Nardò nel 2009; …”.