Processo "Sabr". Avv. Giuseppe Cozza: "A Nardò gli schiavi non esistono e non ci sono mai stati biechi schiavisti"

"A Nardò non ci sono mai stati, nè mai ci saranno biechi schiavisti. Sostenere il contrario vuol dire schiaffeggiare la verità e offendere l'onore e la dignità di un'intera comunità. Nardò e i suoi cittadini non meritano una simile accusa". Intervista all'avvocato Giuseppe Cozza.

 

NARDO' (Lecce) -  Com'è noto, l'altro ieri la Corte d'Assise d'Appello di Lecce ha ribaltato la sentenza di primo grado, con cui, in buona sostanza, nel 2017, 4 noti imprenditori agricoli salentini, 3 dei quali di Nardò, ed 8 intermediari tunisini e algerini, erano stati condannati per i reati di associazione a delinquere, riduzione in schiavitù e intermediazione illecita di manodopera, ed era stata riconosciuta, più in generale, l’esistenza, nel cosiddetto "ghetto di Nardò", di «una struttura criminale articolata, finalizzata al reclutamento di cittadini extracomunitari da destinare allo sfruttamento lavorativo nel settore agricolo».

Tutti gli imputati sono stati assolti "perchè il fatto non sussiste", in ordine alle imputazioni di "associazione a delinquere, finalizzata a reclutare cittadini extracomunitari clandestini" e di "sfruttamento e riduzione in schiavitù", mentre per l'accusa di "intermediazione illecita" l'assoluzione è stata pronunciata con la formula "perchè il fatto non era previsto dalla legge come reato".

L'avv. Giuseppe Cozza, difensore di Pantaleo Latino, detto "Pantaluccio", noto anche come "il re delle angurie", 64enne di Nardò, che, secondo la Procura, sarebbe stato il promotore e l'organizzatore della complessa operazione di sfruttamento degli extracomunitari, ha accettato di rispondere ad alcune domande concernenti i reati contestati e le modalità di svolgimento del processo.

 D. - Avv. Cozza come si può passare da una pesantissima sentenza di condanna, 11 anni per il suo assistito, ad una piena sentenza di assoluzione?

R - I fatti oggetto di imputazione, in appello, non hanno subito variazioni. Quindi, parliamo dei più gravi reati di associazione a delinquere e riduzione in schiavitù, ritenuti dalla Corte d'Assise d'Appello, non sussistenti, e per i quali è intervenuta l'assoluzione con formula piena "perchè il fatto non sussiste".

Per quanto attiene al caporalato (all'epoca dei fatti non previsto dalla legge come reato), considerata la formula assolutoria per i primi due capi d'accusa, probabilmente anche quest'ultima accusa sarebbe stata ritenuta insussistente.

Per quanto concerne, infine, alcuni reati minori, i giudici di appello hanno accolto la tesi difensiva  della genericità dell'imputazione ed hanno disposto la restituzione degli atti al GUP per l'eventuale riformulazione, analitica e precisa, dell'accusa. 

Per quest'ultimo aspetto, sono moderatamente ottimista in quanto fermamente convinto che si risolverà in un nulla di fatto.

D - Lei, nel gennaio del 2013, ha pubblicato un libro dal titolo "La verità e la giustizia. Considerazioni brevi su un'accusa di riduzione in schiavitù. A Nardò gli schiavi non esistono". Per quali motivazioni e con quali obiettivi?

R - Il lavoro è stato approntato dopo la sentenza del Tribunale del riesame, con cui era stato escluso il reato di riduzione in schiavitù. Mi ero reso conto, fin dall'inizio, che l'impostazione accusatoria non avrebbe retto alla verifica dibattimentale e tale convincimento è stato ampiamente esplicitato nel libro citato.

"L'intento che mi ha spinto ad affrontare la questione - scrivevo dopo gli arresti eseguiti la notte tra il 22 e il 23 maggio 2012 -  è stato quello della ricerca della verità, in una vicenda che ha segnato e segna, ancora oggi purtroppo, la coscienza di un'intera comunità. L'impressione che ho tratto, studiando gli atti e confrontandoli con i fatti, è che, quanto avvenuto possa essere un errore gigantesco che si è innestato su una vicenda che ha registrato, e registra, ben altri protagonisti e comprimari, in una vera e propria guerra di posizione, animata solo da spirito di puro protagonismo e in grado di generare vere e proprie mostruosità, capaci di far ipotizzare, nella mente di alcuni, l'esistenza di realtà assolutamente inesistenti". "A Nardò non ci sono mai stati nè mai ci saranno biechi schiavisti. Sostenere il contrario vuol dire schiaffeggiare la verità e offendere l'onore e la dignità di un'intera comunità. Nardò e i suoi cittadini non meritano una simile accusa".

D - Con la sentenza di assoluzione di tutti gli imputati dalle accuse più gravi, emessa dalla Corte d'Assise d'Appello di Lecce l'8 c.m., Nardò può considerarsi ripulita dall'onta di Città schiavista?

R - Ho motivo di credere che la Corte di Cassazione, nel caso in cui la Procura dovesse produrre ricorso alla sentenza di appello, non potrà non confermare l'esattezza della formula assolutoria. A Nardò non è mai esistito alcun episodio di  riduzione in schiavitù. In ogni caso, spetterà alla politica e ai rappresentanti dell'Amministrazione comunale procedere a tutte le azioni opportune per dire all'Italia e all'Europa che Nardò è Città dell'accoglienza, insignita della Medaglia d'Oro al Merito Civile, e nessuono può permettersi di offenderla accostandola a realtà come quelle di Rosarno. 

Non capisco il silenzio di gran parte degli amministratori locali e i sottili distinguo che non possono non fare ancora più male a Nardò e ai neretini. Occorrono prese di posizione chiare, forti e inequivocabili.

Angelo Losavio