La Puglia ha le normative sanitarie più belle d’Italia. Ma molti strumenti non vengono capiti dagli operatori. Un corso di formazione aiuterà ad applicare le procedure

Ieri mattina Salute Salento (www.salutesalento.it ) ha incontrato la professoressa Maria Angela Becchi, docente di Medicina di Comunità e Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina di Comunità e Cure Primarie, Università di Modena e Reggio Emilia.

 

LECCE - Ieri mattina Salute Salento (www.salutesalento.it ) ha incontrato la professoressa Maria Angela Becchi, docente di Medicina di Comunità e Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina di Comunità e Cure Primarie, Università di Modena e Reggio Emilia.

La docente emiliana è qui a Lecce, al Polo didattico della Asl, dove tiene il corso di formazione Ecm : “La presa in carico del paziente nella rete integrata dei servizi socio-sanitari. Le Dimissioni Ospedaliere Protette e l’accesso ai servizi territoriali”.

Due giornate rivolte a 60 operatori sanitari che incrociano i percorsi dei pazienti fragili, nel passaggio dall’ospedale al territorio.

Abbiamo chiesto: Cosa si intende per Medicina di comunità, di cui adesso tanto si parla, come integrazione dell’attività del medico di base?

«La Medicina di comunità e Cure primarie è una disciplina accademica di Scuola di specializzazione. E’ quella disciplina che fornisce metodi e strumenti delle cure primarie, che l’Organizzazione mondiale della Sanità sostiene ormai da 50 anni e che in Italia fa molta fatica a decollare. Sono le cure sanitarie e socio-sanitarie che vengono erogate fuori dall’ospedale, strettamente integrate con l’ospedale e che portano al cittadino benefici per la tutela della salute. Il paziente di cui parliamo è fondamentalmente anziano fragile, con polipatologia. Quello che ha più bisogno di interventi e che non può rimanere molto in ospedale e che quindi, al momento della dimissione o prima di entrare in ospedale, deve essere già in una rete di cure primarie».

Come è messa la Puglia con la rete delle Cure primarie?

«Devo dire a questo proposito che la Regione Puglia ha le normative regionali più belle d’Italia , perché da anni ha promosso questa integrazione fra l’ospedale e le cure primarie, attraverso metodi e strumenti che non sono stati capiti del tutto. Ed è per questo che mi hanno chiamato a fare la formazione».

Perché fa fatica la Medicina di comunità a prendere piede?

«Perché non c’è una formazione universitaria di base. La specializzazione in “Medicina di comunità e cure primarie” è soltanto in 2 università italiane: a Modena e a Padova. Il prossimo anno probabilmente partirà anche in altre università. Ma oggi, fondamentalmente, lo studente in medicina è formato alle cure ospedaliere che oggi non sono più sufficienti per curare un paziente cronico con patologie disabilitanti e che quindi ha bisogno di una rete integrata di servizi».

Il primo passo, la formazione , diventa perciò indispensabile. E dopo?

«Dopo la formazione le vostre normative della regione Puglia dicono già cosa si deve fare: c’è già la rete delle cure primarie, l’assistenza domiciliare, le cure palliative, le unità multi-professionali… Quello che manca e che io con le mie lezioni vorrei sviluppare, è il lavoro in team. Perché il paziente complesso non può essere curato da un solo medico, da un solo infermiere, ma da un gruppo di persone che si chiama “Team multi-professionale interdisciplinare”.

E’ così difficile creare questi Team?

«Voi questi team li avete già: Uvm, Uvc.., tutte quelle unità di valutazione che partecipano al passaggio dall’ospedale al territorio. Ma ogni professionista, che ha studiato in modo individuale in un’università tradizionale, usa i suoi metodi. Invece no. Bisogna usare linguaggio comune, metodi e strumenti comuni. Ed è questo che io vorrei insegnare. Sono sicura che ci vorrà del tempo ma i risultati non dovrebbero mancare. Anche perché la regione Puglia fornisce gli strumenti. Quella che si chiama Svandi (scheda di valutazione multidimensionale per le persone con disabilità è lo strumento che vi dà il linguaggio comune. Bisogna impararlo».

Quali sono i percorsi da mettere in rete sul territorio?  

Superata la fase acuta, dopo il ricovero, il paziente viene collegato con i servizi domiciliari, residenziali e del territorio. Una volta sul territorio, la polipatologia non può essere settorializzata. Ti curo una malattia, te ne curo un’altra e un’altra ancora. Ci vogliono i cosiddetti “percorsi di cura” che sono organizzati secondo procedure scritte. Il paziente entra in questo percorso e segue interventi di cura, diagnosi e riabilitazione, sempre sulla base di Team.

E se il territorio offre la Tac rotta, l’ecografo fuori uso e carenza di personale?

«Questo non è compito mio. Io devo formare e insegnare a fare certe cose. Capisco che può accadere e accade. Ma io non posso intervenire. Non sono un meccanico».