IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA E LA DERIVA DELLA LINGUA

Il linguaggio è pregno di solecismi e strafalcioni. Maltrattare l'idioma nazionale, purtroppo, pare che sia diventato un vero e proprio vezzo linguistico. Forse a qualcuno converrebbe, di tanto in tanto, ricominciare a studiare la lingua italiana.

 

NARDO' (Lecce) - Da più parti si evidenzia, con doverosa pudicizia, il sofferto e preoccupato convincimento che il linguaggio politico sia diventato più astruso e artificioso, ma anche più incline all'inosservanza delle regole morfosintattiche e grammaticali, e che l'ironia abbia perso il diritto di cittadinanza attiva.

Manca, ad esempio, la prosa libera, leggera, coesa e corretta, come quella di Indro Montanelli, che compose per l'amico Melloni il seguente epitaffio scherzoso: "Qui giace Mario Melloni (alias Fortebraccio), che trascorse la vita ad amare Indro Montanelli e non smise mai di vergognarsene".

Il linguaggio della politica, dunque, appare malato, gravemente malato, e la malattia, ancorchè negata dall'infermo, è diventata talmente visibile che gli stessi specialisti, nonostante il disarmante ottimismo, ritengono indifferibile il ricorso generalizzato ad un'appropriata terapia farmacologica.

Si invoca uno stile comunicativo diverso, più diretto e anticonvenzionale. Si chiede il ripristino del primato della politica, come ricerca e affermazione dell'interesse generale. Si auspica un clima politico più sereno e costruttivo, privo della rissosità da ballatoio affermatasi negli ultimi anni. Si spera, infine, che la politica si arricchisca di nuove motivazioni ideali e dimostri di saper esprimere cultura e moralità.

Sappiamo bene che l'essere umano sopporta malvolentieri le informazioni sgradevoli, come quelle, ad esempio, che attengono agli elevati costi della politica, agli sprechi della pubblica amministrazione ed ai lauti compensi dei dipendenti delle Camere.

Per evitare di mettere in crisi le nostre esigenze più radicate e profonde, tendiamo, normalmente, a porre in essere mille stratagemmi, tutti basati sulla manipolazione delle informazioni di base disponibili. Preferiamo costruire, come dice il padre della psicoanalisi Sigmund Freud, una razionalizzazione che ci renda la cosa più sopportabile, oppure, come sostiene lo psicologo sociale Léon Festinger, impegnarci a ridurre la dissonanza cognitiva.

In ogni caso, nonostante gli accademici insegnamenti, è bene ricordare che la verità è spesso d'intralcio alle relazioni sociali: bisogna attutirne le punte infuocate, attenuarne il mordente, ammorbidirla con l'unto della convenzione.

Ovviamente, non è mai opportuno superare i limiti imposti dal buonsenso e cadere nell'ipocrisia, ovvero giustificare, come ebbe a dire Michele Mirabella, riferendosi al Senatùr, finanche la prosa approssimativa, sbilenca, sonora di vernacolari dissonanze, la grammatica rudimentale, la sintassi alla Tarzan e il lessico da piazzista.

Insomma, si è stanchi dei solecismi e degli strafalcioni. Maltrattare l'idioma nazionale, purtroppo, pare che sia diventato un vero e proprio vezzo linguistico.

Forse a qualcuno, e in particolare a coloro che rappresentano l'Italia e gli interessi nazionali, converrebbe, di tanto in tanto, ricominciare a studiare la lingua italiana, sia perchè lo studio non ha mai fatto male a nessuno, sia perchè si potrebbe beneficiare, in ogni caso, della consueta comprensione popolare e dell'indulgenza che normalmente viene riservata ai somari.

Angelo Losavio